Chi gestisce l’eredità digitale in Rete?

Scritto il | 10 maggio, 2012 | No Comments

Fino a poco tempo fa quando, per esempio, una persona cara scompariva, i parenti cercavano di conservarne il patrimonio intellettuale e materiale per ricostruirne la memoria.

Oggi non è più così. Nell’era digitale tutto cambia.

Molti di noi gestiscono i loro rapporti bancari e gli investimenti «online», hanno uno o più «blog», sono utenti di Facebook e, magari, di altre reti sociali. Hanno l’«account» di Twitter e gli album delle foto parcheggiati in qualche «nuvola» o su Flickr.

Una vita vorticosa, spesa sfruttando le enormi possibilità offerte da Internet. Finendo, a volte, prigionieri delle proprie stesse password. Ma cosa succede quando la nostra vita terrena finisce? Ricostruire la nostra esistenza digitale per chi rimane è un incubo. Angosce sulle quali in America è stata già costruita un’industria fatta di libri concepiti come una guida per chi deve ricostruire su Internet pezzi di vita di un caro scomparso o, addirittura, «casseforti digitali» nelle quali conservare ciò che ognuno vuole trasmettere ad amici e discendenti. In alcuni casi questi ultimi possono, poi, offrire i loro contributi per ricostruire e celebrare la memoria dello scomparso.

Un problema talmente complesso e, in prospettiva, rilevante da indurre lo stesso governo americano a scendere in campo con un post sul blog di USA.gov, il sito attraverso il quale l’Amministrazione Obama dialoga coi cittadini.

Il governo, in sostanza, invita gli americani attivi sul web ad affiancare al testamento tradizionale una dichiarazione delle proprie volontà riferita esclusivamente alla propria vita elettronica, affidata a un «esecutore digitale» di propria fiducia al quale andranno consegnati, tra l’altro, tutti i propri «username», le «password» e l’elenco dei siti nei quali si lascia un’impronta, dei blog, dei profili sulle reti sociali. Con l’avvertenza di controllare le politiche di «privacy» dei siti web sui quali si è presenti e di fare in modo che, quando verrà il momento, a questo esecutore venga consegnata una copia del certificato di morte, senza il quale nessuno è autorizzato a chiudere un «account» o a far entrare un estraneo nel profilo dell’utente.
Consigli saggi ma difficili da attuare, ha commentato subito il pubblico. Anche perché la nostra vita digitale non è statica. Cambiano gli interessi, le tecnologie, le password.

Conservare la memoria di una persona cara, poi, sta diventando sempre più spesso anche una questione di tecnologia: le foto di molti di noi sono disperse tra schede delle fotocamere digitali, telefonini, iPad. Magari sono archiviate in un PC il cui «hard disk» si rompe all’improvviso.

Quanto a Steve Jobs, scomparso nell’autunno scorso, è opinione diffusa che il fondatore della Apple, pur avendo sfornato per decenni straordinari strumenti elettronici, non si sia mai affidato più di tanto ai supporti digitali. Il creatore dell’iPod amava ascoltare la musica dei dischi di vinile, si teneva alla larga da Facebook e dalle altre reti sociali e, prima di scomparire, ha sistemato con cura il suo patrimonio familiare e i programmi futuri della Apple. Lasciando tutto scritto, nero su bianco.

Tratto da Corriere.it

 

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